Washington vuole piegare l’Ungheria di Orban

di Luciano Lago
Il clan dei democratici liberal statunitensi, quelli che fanno capo a Joe Biden, a Soros, ai Clinton, alla Viktoria Nuland e altri, vogliono regolare i conti con l’ungherese Viktor Orban. Hanno scelto questo momento per inviare il loro messaggio minaccioso al premier che in Europa, unico e solo, si oppone ai piani statunitensi.
In combutta con la stessa opposizione liberal in Ungheria, dagli USA arriva la minaccia di sanzioni statunitensi al primo ministro Viktor Orban per essere questi troppo filo-russo. Minacciare sanzioni da parte di Washington è la norma, ma in questo caso si tratta di un alleato Nato. In precedenza, con una politica simile, gli Stati Uniti hanno allontanato la Turchia dall’alleanza stessa. Insieme all’Ungheria, questa non è certo l’ultima perdita per la coalizione di Washington: l’America si sta indebolendo, perdendo alcuni dei suoi alleati per la politica rigida e ricattatoria.
Non tutti i leader europei sono come il tedesco Olaf Sholz, come Macron o come la Meloni. Qualcuno, come Orban, sa mantenere la schiena dritta e, quando le direttive di Washington cozzano contro i propri interessi nazionali, è capace di opporsi e dire no!
Secondo diverse fonti diplomatiche e di varie pubblicazioni, gli Stati Uniti intendono ” punire il governo ungherese ” imponendo sanzioni contro di quello, perché la politica di Budapest nei confronti di Mosca e Kiev non è assolutamente conforme alle direttive di Washington.

Uno dei clan globalisti di Washington
Che tipo di sanzioni saranno – individuali (per l’entourage del primo ministro Viktor Orban) o addirittura settoriali contro le aziende ungheresi che sono accusate di collaborare con la russa Rosatom, non è specificato. Ma gli ungheresi letteralmente ogni giorno portano agli americani un nuovo motivo per essere colpevolizzati.
Così accade che gli americani si sono infuriati quando il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto è arrivato a Mosca per una visita di lavoro ed è andato nella capitale russa per trattare gli affari nazionali senza l’autorizzazione del grande patron d’oltre Atlantico.
Peggio ancora quando, poco dopo, si è saputo dell’estensione dell’accordo sulle consegne aggiuntive di gas russo all’Ungheria, di cui Washington chiede ai suoi alleati il completo rifiuto .
Da notare che, oltre a questo, gli ungheresi bloccano tutte le iniziative di Bruxelles che possono portare ad un inasprimento della guerra e sono apertamente contrari all’invio di armi a Kiev.
Ma la cosa più importante, forse, è che le autorità ungheresi non solo accusano Washington di aver imposto una politica disastrosa all’Europa , ma gli negano anche il diritto all’egemonia.
Orban ora sostiene l’istituzione di un analogo della NATO a livello europeo, ma senza la partecipazione degli Stati Uniti .
Orban si era già messo di traverso con la Commissione europea tanto da essere sanzionato da questa con vari pretesti, ma come se non bastasse, ora si aggiungono le sanzioni degli Stati Uniti contro l’Ungheria per aver disobbedito alle direttive dell’amministrazione Biden di chiudere ogni cooperazione con la Russia.
Tuttavia la questione si fa seria se, come sembra, attraverso la loro “macchina dell’influenza” degli organismi sovranazionali, controllati dai clan globalisti e liberal, la Casa Bianca o lo stesso Soros mandano a Orban un monito del tipo “taci, sei andato troppo oltre”, come dire ti devi fermare. Un chiaro avvertimento in stile mafioso.
Nella loro politica internazionale, gli Stati Uniti cercano di scommettere sempre sulla paura per intimidire i loro avversari e questi a volte si piegano e prendono atto delle pressioni e delle minacce.
Questo non è però il caso di Orban che, nonostante tutto, è capace di tenere testa alla potenza egemone e ne contesta il comportamento scorretto e sleale verso un proprio alleato.
Ribadiamo, Orban non è uno Sholz qualsiasi e tanto meno un personaggio opportunista come la Meloni, nonostante sia un alleato della NATO, non si allinea a qualsiasi direttiva degli egemoni. L’Ungheria prende in considerazione in primis il proprio interesse nazionale che non coincide con gli interessi degli Stati Uniti.