Wall Street vede nero per l`Italia
di Giuliano Augusto
I sorrisi e l’ottimismo di Renzi, rivenduti a piene mani in Italia e all’estero, servono a ben poco. L’economia italiana è una malata cronica. Con una crescita economica inesistente, anzi negativa, e con un debito pubblico spaventoso le prospettive sono sconfortanti. L’Italia è la vera palla al piede dell’Europa. Altro che la Grecia!
Il fatto che il debito pubblico greco sia al 180% del Pil e quello italiano al 135% importa poco. L’economia greca è infatti poca cosa rispetto alla nostra. Se fallisce la Grecia, le conseguenze sarebbero gravi, specie per le banche europee che hanno in portafoglio i titoli spazzatura di Atene. Se fallisce l’Italia, gli effetti sarebbero catastrofici per tutti viste le dimensioni del nostro sistema economico.
L’analisi, scontata ed impietosa, è stata svolta dal Wall Street Journal, la voce ufficiale della finanza a stelle e a strisce. In altre epoche essa sarebbe stata interpretata come l’annuncio di un imminente attacco speculativo contro i titoli pubblici del nostro Paese. Una speculazione al ribasso per fare crollare la quotazione dei nostri Btp decennali, fare rialzare i tassi di interesse, i rendimenti e quindi lo spread con i Bund tedeschi che, per la solidità dell’economia di Berlino, sono considerati i più affidabili, i più solvibili, dell’intera Eurozona. Oggi, al contrario di qualche anno fa, la situazione è cambiata. La BCE di Draghi può intervenire a comprare anche i titoli a lungo termine, vanificando in parte le eventuali speculazioni che in questa fase apparirebbero come prive di senso. Non avrebbero conseguenze concrete e costerebbero troppe risorse finanziarie a chi le mettesse in atto.
L’analisi del WSJ è sconfortante e sconfortata. E non è un gioco di parole. L’Italia viene paragonata ad un elefante in una stanza che, a rigore di logica dovrebbe essere quella dove sono custoditi i pezzi pregiati della cristalleria di famiglia. Quella dell’Euro. Mentre al contrario, Atene è come un canarino nella miniera. Quello insomma che con il suo dolce cinguettio accompagna le giornate degli altri partners comunitari. Non sarà forse perché il ministro greco delle Finanze, Varoufakis, pur essendo un “marxista” dichiarato, insegna economia in una università del Texas? Bah. Il paragone zoologico è in ogni caso interessante. Il WSJ osserva allarmato come la reale situazione italiana venga minimizzata sia dal governo Renzi, per ovvie ragioni di bottega, sia dagli altri Paesi europei che hanno tutto l’interesse a continuare a nascondere la realtà dei fatti.
In una situazione di bonaccia finanziaria, grazie agli interventi della Bce che continua a comprare titoli di Stato dalle banche private, a nessuno conviene ricordare la debolezza italiana e il fatto che essa potrebbe fare collassare su se stessa non soltanto l’architettura dell’Euro ma la stessa Unione Europea. La voce della finanza Usa insiste sul fatto che l’Italia rappresenta il cuore dei problemi europei. Dobbiamo tornare a crescere, altrimenti l’Euro non ce la farà a sopravvivere. Negli anni 1980 la crescita media del Prodotto interno italiano era del 2,1%, mentre egli anni 1990 è calato all’1,4%. E’ tornato a crescere dello 0,6% nel primo decennio del nuovo secolo per poi precipitare dello 0,5% negli ultimi cinque anni. Il WSJ opera comunque una apertura di credito a Matteo Renzi, sottolineando che i suoi sforzi di riformatore sono vitali. In particolare (e ti pareva!) quelli “per migliorare il mercato del lavoro”.Una delle maggiori barriere alla crescita, sostiene il quotidiano Usa è stata la cultura del posto fisso.La quale farebbe sì che i molto tutelati lavoratori esistenti danneggino i giovani che cercano lavoro.
Un invito, e non è la prima volta, a creare un grande mercato delle vacche, all’insegna della flessibilità e del precariato. Come negli Usa. Oggi lavori, domani chissà. Solo le piccole imprese crescono, osserva ancora il WSJ. E questo non può bastare all’economia italiana per uscire dal pantano in cui si è cacciata e all’Europa per sopravvivere a se stessa. Resta sconfortante il fatto che il WSJ, come i confratelli Financial Times ed Economist, veda nel lavoro reso sempre più precario il primo fattore per invertire la tendenza al ridimensionamento dell’economia italiana. Un declino, è sempre bene ricordarlo, iniziato con la fine della Prima Repubblica e con lo smantellamento del sistema delle imprese pubbliche imposto al nostro Paese da Wall Street e dala City londinese. Tra la Crociera del Britannia (2 giugno 1992) e la successiva speculazione contro la lira partita appunto da Londra e da New York. Fatti noti che sembrano però essere stati messi nel dimenticatoio sia dagli anglofoni che dai loro servi italiani di ieri e di oggi.