Prosegue la svendita delle aziende italiane al grande capitale internazionale
CON L’ACQUISTO DELLA PIRELLI, LA CINA NON HA COMPRATO SOLO UN’AZIENDA, HA MESSO LE MANI SULLA SUA TECNOLOGIA (E ADDIO)
di Luca Campolongo
Mentre il “petardo” di Draghi, il famigerato più che famoso quantitative easing prosegue, provocando un’enorme fuga di capitali dall’eurozona (124 miliardi di euro solo nell’ultimo trimestre del 2014 secondo il Wall Street Journal, e per il solo effetto del suo annuncio), l’economia italiana continua il suo processo di desertificazione, nonostante i trionfalistici proclami del premier non eletto, sempre più simili agli ultimi dispacci di Hitler asserragliato nel bunker di Berlino.
La Pirelli, una delle aziende storiche italiane è passata in mani cinesi, per la precisione statali, attraverso la controllata pubblica Chemchina.
Certo, negli annunci tutti si sono sperticati nel dire che la governance (usare il termine italiano di amministrazione pare evidentemente obsoleto per i giornalisti) rimarrà in mani italiane, in quanto Tronchetti Provera resterà nel ruolo di amministratore delegato per i prossimi 5 anni, senza specificare cosa accadrà dopo.
La realtà, tuttavia, è un’altra: la Cina è divenuta azionista di maggioranza di Pirelli, avrà accesso alla sua tecnologia e, ovviamente, godrà degli utili dell’azienda, che voleranno nel paese del dragone.
E l’occupazione? Ovviamente al momento tutto rimarrà stabile, giusto per non irritare la popolazione, poi, tra qualche anno si vedrà.
Questo è l’ennesimo fallimento della “grande impresa” italiana, quella che ha sempre guardato dall’alto in basso i piccoli imprenditori che ogni giorno si alzano alle cinque per mandare avanti la baracca e che ama farsi fotografare alle primarie del PD. Quella “grande impresa” che ha vissuto di sussidi pubblici chiedendo meno stato, se questo significava tagliare servizi ai cittadini. La stessa “grande impresa” che fuori dall’Italia viene regolarmente umiliata, basti ricordare le scalate fallite di De Benedetti alla Societè Genérale de Belgique e di Pirelli a Continental.
Una “grande impresa” basata sulle scatole cinesi di società che controllano altre società che ne controllano altre ed altre ancora, fino a far sì che i “capitani coraggiosi” possano gestire multinazionali con meno del 5% reale del capitale. Quella “grande impresa” che basa il suo potere sul debito, scalando società con soldi di altri e sperando di ripagarli con quello che ha in cassa l’azienda scalata, come nel caso dell’opa Olivetti su Telecom, benedetta a piene mani da un certo Massimo D’Alema, che non è propriamente un esponente di un partito destra.
Già, perchè la “grande impresa” guarda con simpatia a sinistra, e disprezza la destra, perchè a destra votano le partite iva, quelli che vanno avanti giocandosi ogni giorno il loro futuro per battere la concorrenza e lottano contro uno stato vorace e predatore.
Gente inguardabile per la “grande impresa”, che gioca, appunto, con soldi non suoi e quando si stanca del giochino perchè incapace di farlo funzionare in maniera dignitosa, vende tutto al primo offerente.
Il paradosso drammatico è che per far tornare Fiat a produrre auto senza le distrazioni della finanza, è dovuto arrivare il figlio di un emigrante, Sergio Marchionne, mentre i “capitani coraggiosi” italiani si son venduti pure l’argenteria per continuare a fingere di fare qualcosa.
Dobbiamo ricordare che fine ha fatto un gioiello della tecnologia come Olivetti? Vogliamo parlare di Omnitel Pronto Italia, svenduta ai tedeschi della Mannesmann e poi passata a Vodafone? Vogliamo parlare dell’industria chimica?
No, non siamo contro l’impresa, anzi: noi siamo per l’impresa, ma per quella sana, quella che rischia ogni giorno del suo, che lotta per battere la concorrenza straniera sapendo di giocare con un braccio legato dietro la schiena e due palle ai piedi costituite da una classe politica parolaia ed inconcludente; siamo per le partite iva che si vedono tassate fino al 62% del loro reddito e nonostante questo sono orgogliose di ciò che fanno.
Questa è l’impresa di cui l’Italia deve andare orgogliosa e che un governo veramente degno di questo nome dovrebbe tutelare ed aiutare a crescere, anzichè massacrare con sistematica crudeltà come fatto dagli ultimi esecutivi.
Tratto da Il Nord