L’Amministrazione Biden di fronte a un mondo che diffida dell’America e dei suoi miti

di Luciano Lago

Con l’uscita tumultuosa di Donald Trump dalla presidenza degli Stati Uniti, e con l’avvento della nuova amministrazione Biden, il governo di Washington ha ereditato una situazione di isolamento internazionale, che il Paese non viveva da molto tempo. Chiuso su se stesso, con conflitti laceranti al suo interno e con incomprensioni persino con i suoi alleati europei. Questo mentre il blocco occidentale si trova contrapposto ad un’alleanza tra Cina e Russia, che è divenuta sempre più consolidata nel comune interesse a contrastare le politiche egemoniche ed aggressive degli USA.

L’isolamento e il discredito della politica statunitense ha dato spazio a questi antagonisti della potenza americana che sono avanzati in alleanze con paesi che si trovano in aree che in precedenza erano sotto l’influenza degli Stati Uniti, come l’America Latina, l’Africa, il Medio Oriente e l’intero Asia Pacifico.
Il tentativo statunitense di recuperare il dominio mondiale è la principale caratteristica dell’Imperialismo del secolo XXI dove l’elite di potere americana vorrebbe restaurare tale supremazia di fronte alle circostanze avverse prodotte dalla globalizzazione e dal nuovo equilibrio multipolare.
Biden è il personaggio prescelto dalla elite statunitense per ricondurre gli USA nella posizione di superpotenza dominante ed ha incluso nel suo programma il salvataggio degli Stati Uniti dal loro isolamento internazionale. Tale obiettivo rappresenta molto di più: il tentativo di invertire il già lungo processo di declino americano e riprendere il ruolo di egemone mondiale che gli USA hanno di fatto perso.

Paradossalmente, quel declino è iniziato quando, con la fine dell’URSS e lo sgretolamento del Patto di Varsavia, gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza su scala mondiale. Ma allo stesso tempo, con la fine del ciclo di sviluppo, il neoliberismo che ancora oggi è il modello economico predominante, inizia a presentare delle profonde crepe che lo rendono impresentabile per i paesi in via di sviluppo.
La spettacolare espansione del neoliberismo su scala mondiale nascondeva l’aspetto negativo di questa visione economica: l’incapacità del nuovo modello di conquistare basi sociali di sostegno e stabilità politica, privilegiando gli interessi del capitale finanziario ed alimentando le diseguaglianze sociali. Al contrario questo sistema si è impostato sul primato dei mercati e della finanziarizzazione dell’economia, producendo una enorme bolla di debiti degli stati e la conseguente ricattabilità dei governi da parte del grande capitale finanziario e delle oligarchie dominanti..

Homless in Los Angeles, uno spettacolo di miseria americana

Questa rovinosa politica economica al servizio dei potentati finanziari ha rotto con decenni di riduzione delle disuguaglianze ed è tornata a un periodo di profonda ed estesa concentrazione del reddito a favore di una esigua minoranza di banchieri ed affaristi al servizio delle grandi multinazionali, con la politica asservita alla grande finanza.
L’euforia per il neoliberismo è stata rapidamente accompagnata dall’incapacità del modello di riprendere la crescita economica e generare posti di lavoro. La crisi del 2008, simile a quella del 1929, ha gettato l’economia internazionale in una recessione che non sarebbe terminata fino all’arrivo della nuova crisi, iniziata lo scorso anno.

Il declino americano ha la sua conseguenza di perdita dell’egemonia degli Stati Uniti nel mondo ed ha reso visibile l’aspetto decadente dell’economia americana e del modello che propongono per il mondo intero. Gli Stati Uniti hanno perso la capacità di leadership politica e ideologica, mentre la Cina ha ampliato le sue relazioni nel mondo, avendo come biglietto da visita il suo potere economico che si è solo consolidato nella capacità di riprendersi dalla crisi recessiva del 2020.
La perdita di attrattiva del modello liberista non consentirà agli Stati Uniti di riprendere il vecchio gioco dell’Imperialismo condotto nei decenni post seconda guerra mondiale, basato sulla espansione del modello americano impostato sullo sviluppo e sul predominio delle multinazionali, con la sua forma di neocolonialismo economico. Quel modello oggi è rigettato da una buona parte dei paesi in via di sviluppo ed è subentrata la Cina ad offrire condizioni migliori di sviluppo e di affrancamento dal neocolonialismo occidentale.

Joe Biden dovrà fare i conti con questa realtà ed in più dovrà cercare di risanare le ferite di un paese fratturato, iniziando con un importante piano di ripresa economica per il paese. Un piano che, per un po ‘, avrà l’effetto di alleviare la profonda recessione economica derivata dalla pandemia, che ha interrotto la ripresa che l’economia ha mostrato fino all’inizio dello scorso anno.
Sul piano politico internazionale, il ritorno degli Stati Uniti agli Accordi di Parigi ha il ruolo simbolico di annullare le battute d’arresto dell’amministrazione Trump, ristabilendo il blocco nordamericano, riconciliando i suoi alleati fondamentali in Europa e Giappone. I paesi latinoamericani che sono stati vittime dirette dell’amministrazione Trump, come Messico e Cuba, conoscono già le posizioni più concilianti del nuovo governo.

Produzione cinese che supera quella americana

Tuttavia i principali ostacoli per Biden provengono non solo dalla situazione di depressione economica negli Stati Uniti e nel mondo, ma soprattutto dall’espansione dell’influenza della Cina e dalla sua alleanza con la Russia, ormai presente in tutti i continenti del mondo. Se il XXI secolo appariva già come la disputa egemonica tra il potere in declino degli Stati Uniti e l’emergere di un mondo multipolare, in cui Cina e Russia avrebbero giocato un ruolo fondamentale, la crisi pandemica non ha fatto altro che accelerare questa disputa, favorendo l’espansione dell’influenza e del potere economico della Cina a scapito degli interessi americani.

Nei rapporti con il blocco Cina Russia, Biden non ha molti margini di manovra, mantenendo relazioni che oscillano tra conflitto e convivenza, ma in un clima più sfavorevole per gli Stati Uniti. Primo, per la forza dell’economia cinese, che propone un modello economico di sviluppo e di investimenti in infrastrutture (la new belton road), che si basa sulla resilienza dell’economia cinese e sulla sua crescita record costante negli ultimi decenni.
Sarà poco probabile a nostro avviso, che gli USA si possano avventurare in un conflitto con la Cina o con la Russia, vista l’impossibilità di affrontare militarmente queste due superpotenze. Piuttosto Washington proseguirà la guerra ibrida con la sua politica di sobillazione interna di conflitti, inviando altre centinaia o migliaia di agenti provocatori e facendo leva sui social media e sulle sue fonti di propaganda per istigare disordini e rivolte interne, mediante le consuete tecniche di “rivoluzioni colorate”, per quanto ormai scoperte e scarsamente efficaci.

Proletariato bianco statunitense in rivolta

L’Amministrazione Biden dovrà remare controcorrente, soprattutto perché dovrà ancora affrontare i suoi problemi interni e lo scontento e la rabbia del proletariato statunitense, quello sacrificato dalle politiche di globalizzazione di potenza condotte dagli Stati Uniti negli ultimi decenni. Biden eredita una situazione degli Stati Uniti nel mondo non solo di isolamento, ma proietta anche un’immagine negativa, a causa delle azioni di Trump, inclusa l’invasione del Campidoglio, che colpisce direttamente l’immagine idilliaca della democrazia che gli Stati Uniti pretendevano di proiettare nel mondo come modello.
In tale contesto, la tentazione di avventurarsi in conflitto regionale potrebbe essere forte per distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni e per favorire gli interessi dell’apparato militare /industriale ma le conseguenze potrebbero essere disastrose.
La pandemia ha accelerato la disputa egemonica nel 21 ° secolo, favorendo il blocco delle potenze emergenti e un mondo multipolare. Il compito di Biden non sarà facile e, se sceglierà la via della militarizzazione interna, come già si inizia a scorgere, l’America prenderà una svolta totalitaria che smaschererà per sempre la sua facciata di “grande democrazia”.

Quello che gli altri non dicono

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