LA TECNOLOGIA CI DISTRUGGERA’
di Anacronista
Titolo catastrofista? Non direi; anzi dovrei usarlo al passato, visto che per molti aspetti la tecnologia ci ha già distrutto. L’annientamento totale dell’essere umano è solo questione di tempo. Quello che appare surreale, ma che in realtà conferma come abbiamo ormai perso ogni umano buon senso e istinto di sopravvivenza, è che siamo in preda a un febbrile raptus suicida: se ancora ci resta qualche soldo in tasca lo spendiamo per comprare il “telefono intelligente”, il computer più potente, l’automobile che parcheggia da sola.
Da una parte ci lamentiamo di come i posti di lavoro siano sempre più scarsi e di come tutto sia sempre più inquinato; dall’altra parte diamo soldi e diffusione proprio alle tecnologie che eliminano il lavoro e causano l’inquinamento. Quando si parla di schizofrenia.
Certo, la tecnologia elimina il lavoro umano, lo soppianta. Questo è il suo scopo intrinseco, fin dall’inizio della rivoluzione industriale. I luddisti che distruggevano le prime macchine avevano probabilmente la vista molto lunga. Dapprima le macchine hanno sostituito il lavoro manuale, poi quello impiegatizio, e ora si insinuano anche in quello dirigenziale. Non si illuda nessuno: non esiste professione al riparo dall’automazione; i prossimi a sparire saranno gli autisti e i vigilantes, ma verrà il turno anche di insegnanti, giornalisti, chirurghi e ricercatori. Se ne ricordino quanti protestano arrabbiati in piazza perché non hanno più un lavoro: non si può comprare lo smartphone e il maglione prodotto in fabbriche automatizzate e poi pretendere che tutto resti come prima. Volete la tecnologia, ma la tecnologia vi rende inutili: fatevene una ragione. Per chi guadagna producendo quello smartphone o quel maglione, voi siete solo manodopera ormai superflua; se non avete più soldi per comprare, fareste bene a sparire. La tecnologia mantiene la sua promessa iniziale: vi rimpiazza e vi annulla.
Ovviamente anche in senso molto più profondo. Facendo piazza pulita di quasi tutti gli antichi mestieri e tradizioni essa ha distrutto identità, orgoglio, gusto artistico, legami sociali. saperi e abilità che avevano richiesto secoli di sviluppo.
Senza contare che ha stravolto il millenario equilibrio tra l’umanità e il pianeta, sottoponendo quest’ultimo a sfruttamento e distruzione selvaggia. Sono patetici, i promotori turistici, quando ci vogliono far credere che quell’isola o quel monte siano rimasti magicamente “incontaminati” dall’ inquinamento che permea ogni angolo del globo. Il suolo è depauperato e pieno di veleni; altrettanto il mare; l’aria è satura di inquinanti da combustione, lavorazioni industriali e geoingegneria, tanto che siamo tutti intossicati da metalli pesanti.
Le specie animali e vegetali si stanno estinguendo a ritmo vertiginoso. Il cibo ha bisogno di etichette sempre più dettagliate, perché in sostanza diventa sempre più immangiabile. Dobbiamo difenderci dalle nostre stesse “biotecnologie”. Bio-tecnologia: quanti folli bisogna essere, per rendere tecnologia anche la vita? E invece in quelle facoltà mandiamo i nostri giovani: a studiare come manipolare i DNA per Monsanto e le altre ditte farmaceutiche, a rendere il mondo sempre più artificiale e pericoloso, come se i disastri combinati finora non bastassero. E pensare che, fino alla rivoluzione industriale, l’uomo abitava in un pianeta dove poteva bere l’acqua dei fiumi, cogliere i frutti dagli alberi, cacciare i cinghiali e coltivare il grano senza timore di veleni e senza dover studiare per anni, ma in modo spontaneo o avvalendosi del sapere delle generazioni precedenti. Egli interagiva in un ambiente del quale era parte armonica, organica.
Ora invece studiamo tecnologie sempre più complesse e innaturali che curino i guasti provocati da altre tecnologie, che a loro volta provocheranno altri guasti ancora più complessi e innaturali e così via. In altre parole, non abbiamo perso solo l’immenso patrimonio della cultura contadina e artigiana, ma anche la capacità (in certi casi perfino la possibilità) di rapportarci al mondo in modo spontaneo e naturale. Per gestire una fattoria ora si studia agronomia; si va dal dietologo a farsi spiegare come mangiare; per ogni problema d’animo si paga lo psicologo. Ora l’educazione sessuale vuole insegnarci anche come amare. Perfino per il concepimento spesso bisogna ricorrere a tecniche sofisticate, visto che la sterilità è in forte aumento. Siamo diventati una società artificiale. Se un tempo bastavano all’uomo poche ore di farica quotidiana per procacciarsi le necessità nell’ambiente naturale, ora siamo rinchiusi almeno 8 ore al giorno in uffici o fabbriche per poi dover depurare l’acqua che beviamo, inseminare i nostri ovuli per avere figli e, a breve, filtrare l’aria che respiriamo. Non c’è male, come frutti del “progresso”.
Com’è cominciato tutto questo? Con la rivoluzione industriale. E questa com’è nata? Semplificando, da un’idea di fondo: la società e la vita dell’uomo non devono seguire alcun ordine naturale, ma vanno organizzati per mezzo del denaro. Potere, prestigio, ruoli non vanno riconosciuti secondo la gerarchia naturale, ma assegnati a seconda di quanto denaro si possiede. Ovviamente tale idea era particolarmente diffusa tra mercanti e banchieri, ma si estese presto a tutta la società. Si cercavano modi per guadagnare di più, e in quel contesto nacquero le prime macchine. Esse dovevano servire ad aumentare la produzione riducendone al contempo le spese, quindi ad aumentare il guadagno e il potere dei capitani d’industria. La ricerca di nuove tecniche per aumentare costantemente la produzione e diminuirne i costi diventò sistematica e creò quel tutt’uno distruttivo tra ricerca scientifica e tecnologia che da allora non ha mai smesso di devastare il pianeta e l’umanità e che ancora costituisce il binomio di quel dogma intoccabile sempre risonante nei telegiornali e università (più innovazione, più sviluppo!). Il tutto promettendo un illusorio benessere generale e riuscendo però con estremo successo a conferire il reale potere assoluto alla nuova classe di industriali e finanzieri. La rivoluzione industriale nasce perciò dal culto del denaro e dal desiderio di mercanti e cambiavalute di rovesciare le società tradizionali e porsene a capo. Essa rappresenta la sovversione totale della società e del mondo intero.
Poiché il movente della rivoluzione industriale-tecnologica è politico, non stupisce che non venga mai messo in discussione il dogma secondo cui la tecnologia ci fa bene, e che non ci si chieda quasi mai qual è lo scopo di tutta questa rivoluzione tecnologica, dove vogliamo arrivare e perché.
Se diamo retta ai transumanisti, lo scopo pare quello di fondere l’uomo con le macchine, così da conferirgli immensa intelligenza di calcolo, infinità di informazioni e, ovviamente, vita eterna (dopotutto il transumanismo è la trasposizione fantastica in chiave tecnologica delle religioni). Ma non sarebbe questa la distruzione totale dell’essere umano, la sua trasformazione in qualcosa di completamente diverso? Cosa c’è che non va bene nell’uomo, nella sua vita naturale, da volerlo trasformare in un fantomatico essere indefinito? Di nuovo, lo scopo più o meno dichiarato dei transumanisti è di trasformare l’uomo in Dio: immortale, onnisciente e onnipotente.
Quanto sia intrinsecamente ridicola questa pretesa credo di non doverlo sottolineare; sarebbe però notevole e buffo se tutti gli sforzi tecnologici del mondo fossero davvero profusi in vista di un miraggio così assurdo e grottesco. E’ per diventare come Dio (o meglio la satanica “Simia Dei”, scimmia di Dio) che stiamo spendendo tutte le nostre migliori energie e il nostro tempo?
La questione non viene mai posta. “Innovazione, sviluppo!” è il motto martellato ovunque, a est, a ovest, da cinesi e americani senza differenza. Stiamo trasformando il pianeta in un nodo di autostrade e cemento, in un groviglio di telecomunicazioni e microchip, senza neanche sapere perché. Quando qualcuno lancia il grido d’allarme sui pericoli della tecnologia, come il famoso informatico Bill Joy nel suo “Perché il futuro non ha bisogno di noi”, o come ha fatto recentemente il fisico Stephen Hawking, presenta il problema come un rischio: il rischio che l’intelligenza artificiale o le nanotecnologie ci sfuggano di mano, provocando la nostra catastrofica estinzione. Intendiamoci: i rischi nel giocare con i sistemi artificiali e l’infinitamente piccolo sono evidenti.
Tuttavia io non parlerei di rischi, ma di ciò che sta già accadendo con palpabile certezza: la distruzione dell’essere umano non in senso fisico (perlomeno non ancora, nonostante le nuove patologie provocate dalla contaminazione ambientale) ma nel senso della sua alienazione e trasformazione. Non c’è nemmeno bisogno di agitare gli spauracchi della catastrofe finale per constatare che la tecnologia ha già devastato la società e la vita umana e quella del pianeta. Siamo passati dal coltivare cibo gustoso e nutriente a pesticidi e OGM; dal costruire regge e cattedrali ai prefabbricati; dal dipingere la cappella sistina a Powerpoint; dai mobili intagliati e intarsiati ai moduli in compensato; da cotone e lana alla fuffa sintetica; dal giocare in cortile con gli amici alle giornate solitarie davanti ai monitor; dallo scrivere lettere personalizzate e personali alle email digitate e intercettabili; dai cieli azzurri alle scie chimiche; dalla convivialità alla competizione; dal non produrre rifiuti a discariche e inceneritori; dal pesce salubre a mercurio e plastica; dalla riservatezza alla sorveglianza pervasiva; dalla spontaneità allo studio pedante e costante; dalle diversità locali all’omologazione globale; dalla spada all’incubo atomico e così via all’infinito.
Cosa deve capitarci, ancora, per capire che la tecnologia non ci fa bene? Per renderci conto che si tratta solo di un sistema voluto e promosso dalla classe di industriali e finanzieri che crede di potersi salvare indefinitamente dai danni provocati da tale sistema spendendo fortune in trattamenti medici? Crediamo davvero che la possibilità di chiacchierare a distanza o di raggiungere l’altro capo del mondo in poche ore ci ripaghi di tutto l’inquinamento, la bruttura, la complicazione, la perdita di civiltà, salute e vitalità che ci stiamo infliggendo?
Forse non lo crediamo, ma, come sempre, non ci pensiamo. Facciamo come tutti, come l’amico su Facebook, come mostra la televisione, come insegna la scuola. Se non abbiamo anche noi lo smartphone, le scarpe high-tech, l’ultimo gadget inutile studiato dal marketing, ci sentiamo vecchi e disadattati, superati. Rinunciamo ai figli ma non al televisore di ultima generazione; alimentiamo il mostro tecnologico salvo poi scendere in piazza contro i licenziamenti a reclamare i nostri “diritti” di consumatori frustrati, non diversamente da quanti protestano quando la spazzatura non viene raccolta ma mai si impegnano a produrne meno.
Pensiamoci, invece. Altro che laurea in biotecnologia o informatica: impariamo piuttosto dal vecchio contadino o falegname che ancora conservano l’esperienza dei nostri avi, prima che questa scompaia con loro.
“I più gran dotti non sono gli uomini più saggi”, disse Geoffrey Chaucer. Torniamo a produrre per consumare, non per vendere. A collaborare, non competere. A organizzarci localmente. La nostra vita dipende dal campo di grano e dall’aria che respiriamo, non da social network e fibre ottiche.
La nostra felicità sta nel vivere secondo natura insieme ai nostri simili, non nell’agitare l’indice sullo schermo alla ricerca perenne di stimoli effimeri. Scrolliamoci di dosso una buona volta questa mania del nuovo, nata con la rivoluzione industriale per promuovere la vendita continua di nuovi prodotti. Non c’è alcun bisogno di rinnovare continuamente; al contrario, le cose buone non cambiano. L’essere umano non è noioso o antiquato perché continua ad avere due occhi e due braccia: un occhio e tre braccia sarebbero una cosa nuova, ma chi le vorrebbe? Non si capisce quindi perché i prodotti vadano continuamente rinnovati, se non per esigenze commerciali e non reali. Non ci servono nuove tecnologie (anzi sarebbe bene, come scrive Bill Joy, dimenticarcene qualcuna); ci serve solo tanto buon senso in più, per tornare a vivere in modo consono alla nostra natura biologica (qualcuno direbbe: come Dio comanda).
E non è solo questione di salvarsi da qualche olocausto nucleare o nanotecnologico. La fine del mondo? I più non hanno notato che, con la rivoluzione industriale, la rivoluzione francese e le guerre mondiali, il “mondo” è già finito da un pezzo. Come scrisse qualcuno, noi non siamo che uomini tra le rovine, i sopravvissuti che, invece di invertire la rotta e tornare a un’ordine naturale, si accaniscono con folle frenesia a distruggere i frammenti di civiltà e natura che ancora resistono. Con o senza olocausto tecnologico, se continuiamo su questa strada dell’uomo non resterà più nulla. In altre parole, la tecnologia ci distruggerà.
Foto in alto: una centrale atomica in Europa
Foto al centro: effetti della contaminazione del mare da idrocarburi
No caro Anacronista, lei è malato di pessimismo, io so come viveva mio nonno e le assicuro che era parecchio peggio di oggi.
e tanto per dire,mio padre in Africa non poteva ber l’acqua dei fiumi perchè inquninata da carogne varie e pericolosi batteri, mica
solo per dissenterie ma ben di peggio.
Sono invece almeno in parte d’accordo sull’immoralità di base di molte multinazionali e grandi gruppi finanziari, stia però attento
perchè sono gli stessi che dominano il mondo dei mass media e in molti casi anche della ricerca e le inculcano svariate idee tipo
“Global Warming” a loro interessa solo demonizzare carbone e nucleare per vendere petrolio e gas e spingono anche i governi a rischiare guerre per mettere le mani su giacimenti che per loro significano solo miliardi di dollari. Se vuole può andare a vivere con gli Amish, che non vivono male (ma secondo me peggio di noi) e sono fortunati a vivere in una nazione relativamente stabile perchè quando noi vivevamo come loro erano continue tragedie per guerre soprusi ecc. Mi creda le macchine non avranno mai l’intelligenza,la fantasia e la creatività dell’uomo. Se poi si creerà un grave problema occupazionale i governi tasseranno adeguatamente i robot. Non so perchè trovi il mondo così brutto e degradato io vedo ancora cieli limpidi ( a parte l’anticiclone attuale che passerà) e distese di foreste con molte zone non abitate. Personalmente preferirei fossimo più scettici sui propagandati pericoli del nucleare, energia che ci darebbe minore instabilità geopolitica, aria più pulita e renderebbe più sensato lo sviluppo di
auto elettriche. Saluti e serenità
Questo mondi tecnologico già ci ha alienati.
Purtroppo la stragrande maggioranza loda la tecnologia.
Io preferisco essere quel cretino a cui fa paura: l’importante è avere il coraggio delle proprie idee giuste o sbagliate che siano,ma siano quel che siano…lo sa solo DIO.
Una volta credo si comunicasse di più con un telefono tradizionale che con uno smartphone.
E anche se non si è persone queruli o fastidiose,basta solo non rientrare nella ristrettissima cerchia dell’uomo moderno che lo stesso
tramite il display che visualizza il numero chiamante non risponde…se questa è evoluzione!
E cosa dire delle automobili che si guidano da sole?
Prove tecniche di conquista da parte dell’automatismo.
Se l’automazione riesce a conquistare la strada,conquisterà anche la restante parte della nostra realtà fisica.
Uno degli scopi prossimi di questa rivoluzione inustriale è proprio ridurre la nostra interazione con il mondo fisico.
Saluti!
Nel 67 sono nato in un luogo meraviglioso tra piave e livenza, la Dove s’ imperniata il fenomeno nord-est. Vivevamo come nel medioevo la coltura del terreno, rotazione agraria, mestieri appaganti seguendo i ritmi delle stagioni. Avevo 5 anni quando nonno e papà, dopo cena, mi portarono nei campi tra lucciole, usignolo, civette e profumi di madrenatura per parlarmi degli astronauti che erano stati su quella palla di luce piena sopra di noi e si pensava al progresso con fiducia. In 30 anni è sparito tutto.da casa non vedevo a più di 100m quadrati . Nonno faceva il falegname in casa e mi ha trasmesso l’amore per gli alberi che oggi mi han querelato perché la vecchia quercia recava danno con la sua ombra al campo del vicino, come l’ombra stesse sempre ferma a ovest. I capannoni costruiti durante l’era del fenomeno nord-est sono voti come le stalle multato x le quote latte. Fossati e alberi centenari spariti insieme al concetto di ecosistema. Sono incazzato, gli ultimi mostri sono i generatori a biomassa che entrano ovunque con macchine enormi deturpando un ambiente che era sacro per noi. Altro che grande passo per l’umanità. .se non “torniamo a casa , con i piedi per terra” crepiamo. Saluti e complimenti , mauro