La “Libertà di Espressione” in Francia equivale ad una caricatura

di Renàn Vega Cantor *

Tale e quale ad una caricatura appare la libertà di espressione che domina in Francia che, se io vivessi in questo paese, potrei stare in carcere per aver scritto questo articolo. Le caricature che illustrano questo scritto sono del disegnatore brasiliano Carlos Latuff, il quale nel Novembre del 2012 fu catalogato dal Centro Simon Wiesenthal degli Stati Uniti come il terzo antisemita del mondo per causa delle sue denunce grafiche relative ai crimini commessi dallo Stato di Israele a Gaza.

“La libertà di espressione in Francia è una completa falsità ed una frode”, (Noam Chomsky).

In questi giorni per motivo dei luttuosi avvenimenti di Parigi, è apparsa ogni forma di acclamazione alla pretesa libertà di pensiero, di opinione e di espressione che esisterebbe in Francia. Come era avvenuto dopo l’11 Settembre del 2001 quando si iniziò a dire senza molta immaginazione “”siamo tutti statunitensi”, adesso si ripete come pappagalli “siamo tutti francesi” o, più banalmente “Je suis Charlie”.

Ricordiamoci che, subito dopo gli attacchi al Trade World Center, George Bush, dimostrando una ingenuità ed una innocenza angelica, si domandava perchè venissero attaccati gli Stati Uniti, al che egli stesso rispondeva che si voleva aggredire la libertà, la democrazia e la giustizia che caratterizzano questo paese imperialista ed a nome di valori tanto astratti, a seguito dei quali si trovava il petrolio ed il riordinamento geopolitico del mondo, venne dichiarata la guerra al mondo povero e periferico, come epicentro della crociata contro il “terrorismo internazionale”.

Qualche cosa di simile accade in questi momenti quando, da Parigi, da Francois Hollande in avanti, si afferma che “si è attaccata la libertà di espressione”, che avrebbe la sua culla in Francia e di cui questo paese sarebbe senza dubbio il maggior difensore. per citare un esempio, Mario Vargas Llosa, in un suo scolorito articolo, assicura che “l’assassinio di tutta la redazione di Charlie Hebdo significa (….) che la cultura occidentale , culla della libertà, della democrazia, dei diritti umani, rinunci ad esercitare questi valori, che inizi ad esercitare la censura, a porre limiti alla libertà di espressione, a stabilire temi proibiti, che significa, rinunciare ad uno dei principi più fondamentali della cultura della libertà: il diritto di critica.”

Caricaturesca

Queste affermazioni ditirambiche non resistono al mimore contatto con la dura realtà della Francia. Non ci riferiamo al fatto che la libertà di espressione si riduca al privilegio di una minoranza, che dispone di capitale economico e culturale per manifestarsi, o che la stampa e gli editoriali siano proprietà dei poderosi conglomerati economici. Non stiamo parlando di qualche cosa di prosaico: la persecuzione velata ed aperta contro certi scrittori ed intellettuali che escono fuori dalla rete della possente lobby ebraica che esiste in Francia o la censura che viene esercitata dai nuovi mandarini della stampa e la edizione contro gli autori che non appartengono al “politicamente corretto”.

In questo brano andiamo a presentare un saggio del modo in cui in Francia, la conclamata culla e dimora della libertà di espressione, si censura, si perseguita ed incluso si incarcera, coloro i quali si azzardano a criticare la lobby israeliana o le loro impostazioni non siano in sintonia con il pensiero tiepido del” politicamente corretto” del mondo accademico e culturale.
Antisemitism

Non è superfluo avvisare che già da alcuni anni ho percepito sulla mia propria carne il disprezzo e la discriminazione verso un “sudaca” (sudamericano), qualche cosa che è anche peggio per un arabo, un marocchino o un algerino, come lo sperimenta chiunque viva a Parigi ed abbia occhi per vedere ed orecchie per ascoltare. Perchè è sufficiente risiedere in una banlieue o visitarla ogni tanto, per verificare la discriminazione, il disprezzo, il razzismo ed ogni sorta di umiliazioni che sopportano giornalmente i discendenti poveri dei colonizzati di ieri, o gli ultimi arrivati dall’Africa o dal mondo Arabo che fuggono dalla fame, dalla miseria e dalla violenza prodotta nei loro paesi d’origine a causa dei piani di assestamento e le guerre sostenute dalla Francia e dai paesi imperialisti.

Una Legislazione che censura la ricerca storica

Nel 1972 si era approvata una legge contro il razzismo che prevedeva condanne fino a sei mesi di carcere ed una multa di mille franchi per chi incorra nel dellitto di ingiuria e diffamazione contro persone appartenenti ad altra razza, etnia, religione, nazione, ecc. , mediante discorsi, scritti, disegni, stampe, minacce proferite in luoghi pubblici e qualsiasi altro mezzo………ecc.. La legge era denominata Fabius-Gayssot del 13 Giugno del 1990 ha perfezionato la normativa del 1972 contro il razzismo visto che all’art. 1 dichiara: “ogni discriminazione basata sull’appartenenza o non a. a etnia, nazione, razza o religione è proibita”. Inoltre si qualifica come delitto, all’art. 9, la negazione di crimini contro l’umanità , in accordo a quanto stabilito dal Tribunale di Norimberga, che siano stati commessi tanto dai membri di una organizzazione dichiarata criminale in applicazione di questo statuto come persona riconosciuta colpevole di questi crimini. Questa legge amplifica le pene detentive per coloro che siano dichiarati colpevoli di negare i crimini stabiliti dal Tribunale di Norimberga”.

A prima vista tutte queste disposizioni contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione non avrebbero alcun inconveniente, il problema però è che la legge Fabius-Gayssot fu approvata con una impronta chiaramente pro-sionista, a partire dalla quale si è venuto considerando un delitto grave il denominato “revisionismo storico”, termine con cui si allude alle critiche ed interpretazioni che potrebbero farsi sulle persecuzioni e sullo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale, sintetizzato nel termine Olocausto (un vocabolo di per se stesso discutibile perchè connota l’idea di un sacrificio unico ed irrepetibile) e si perseguita quello che in forma generica viene indicato come antisemitismo. Come a dire che la elgge contro il razzismo e la discriminazione si focalizza in forma quasi escusiva nella persecuzione dell’antisemitismo, nozione nella quale si comprendono le critiche che si possono fare contro i crimini commessi dallo Stato sionista di Israele, benchè questo si copra con la persecuzione del revisionismo storico. Questa legge inoltre autorizza le organizzazioni civili a presentare richieste contro gli accusati di odio razziale o antisemitismo, con cui le organizzazioni della lobby ebraica possono procedere a loro discrezione nell’accusare tutti coloro che considerano antisemiti.

Questa legislazione instaura una verità ufficiale, alla quale bisogna assoggettarsi, con riferimento alle interpretazioni sulla persecuzione degli ebrei nel corso della Seconda Guerra Mondiale dal regime nazista. Così la verità storica viene determinata dai Tribunali e dai giudici. Si confonde quindi la verità storica con la verità giudiziale, come se fossero sinonimi, cosa che nega il carattere indipendente ed autonomo della ricerca storica. La conoscenza della Storia non può essere ridotta ad una religione che si pretende laica, neppure dovrebbe essere subordinata ad alcuna proibizione nè può essere regolamentata. La ricerca storica non condanna e non esalta ma ricerca i processi storici e gli avvenimenti. Lo storico non è uno schiavo degli interessi dominanti nella attualità (come la lobby sionista favorevole allo stato di Israele) nè la storia è sinonimo di memoria, benchè la si possa catalogare come una delle sue fonti fondamentali.
La Storia non può essere un oggetto giuridico e pertanto non può essere sottomessa al criterio dei giudici, I prodotti della ricerca storica devono essere sottoposti al dibattito pubblico, al giudizio dei cittadini che leggono i libri di Storia ed in questa dialettica e discussione si deve dimostrare la fallacia , le menzogne e le fasificazioni di certi storici, in questo caso dei negazionisti. Risulta invece molto discutibile che a priori si condannino penalmente e li si induca a non trattare certi temi proibiti.
Con questa logica non si sarebbero mai scritti i grandi libri sulla Storia dell’Umanità in diverse epoche e nel caso di cui ci si occupa non si sarebbero mai potute pubblicare opere come “L’industria dell’Olocausto” di Norman Finkelstein o “La pulizia etnica della Palestina” di Llan Pappè, per citare due esempi.

In aggiunta lo stabilire un delitto di opinione sul passato (concretamente per il periodo 1933-1945, il periodo del regime di Adolf Hitler) si crea una polizia accademica, incaricata di assicurare che nessuno metta in questione le vertà stabilite su questo periodo. Questo genera censura ed autocensura, per la paura della persecuzione e del carcere che questo suscita. (………………………………….).

Si tratta di una impostazione molto unilaterale (la visione di alcuni storici) che considera soltanto il castigo che ricade sui revisionisti i quali si sono azzardati a scrivere e pubblicare e con questo a sfidare la legge di censura esistente, ma non considera l’impatto nefasto che queste condanne proiettano su molte altre persone che sarebbero interessate non soltanto a studiare questi avvenimenti ma anche a giudicare la politica sionista e circa i crimini dello Stato di Israele.

La questione giustamente si complica perchè in Francia esiste una possente lobby israelita che controlla importanti ambiti della vita culturale, politica, ideologica e simbolica di questo paese e nella sua difesa irrinunciabile dello Stato di Israele, censura e persegue come antisemitismo le critiche e le denunce di crimini di questo Stato. In questo senso si confonde la verità una verità stabilita ed indiscutibile sullo sterminio degli ebrei che non si può mettere in questione con gli interessi dello Stato di Israele come erede dell’Olocausto.

Chiunque critichi in conseguenza gli innumerevoli crimini di Israele, il suo terrorismo di Stato, l’assassinio di bambini, la costruzione di muri dell’infamia, la distruzione delle case, l’insediamento di colonie, per occupare le ultime ridotte del territorio originale della Palestina, i bombardamenti indiscriminati, la tortura, la trasformazione dell’Olocausto in una possente industria mediatica ed ideologica per giustificare i loro crimini, chiunque si azzardi a dire questo, viene semplicemente qualificato come antisemita e non solo qualificato ma anche processato e può finire in carcere per le sue opinioni.
(……………………………..).

Charlie Hebdo e l’antisemitismo come pretesto per censurare

Charlie Hebdo è un chiaro esempio di quello che si intende per antisemitismo in Francia, che presuppone che non si possa criticare la lobby sionista, nè alla lobby sionista nè allo Stato di Israele. Il 2 di Luglio del 2008 il caricaturista Sinè, il cui nome è Maurice Sinet, scrisse un testo su Jean Sarkozy, figlio del presidente della Repubblica, in cui sosteneva che la sua rapida conversione all’ebraismo gli assicurava un futuro radioso e pieno di guadagni monetari. In ragione di questa satira, Philippe Val, direttore di Charlie Hebdo, lo ha licenziato in modo fulmineo dal settimanale il 15 di Luglio. Il licenziamento fu giustificato adducendo che Sinè era un antisemita perchè si era azzardato a criticare un membro della famiglia presidenziale che sosteneva Charlie Hebdo.
Vedere : Sinè: il vignettista licenziato da Charlie Hebdo per antisemitismo
(…………………………………………..)
In sintesi quello che si deduce dalla vicenda Sinè dimostra la doppia morale sulla libertà di espressione di Charlie Hebdo, visto che la si rivendica quando si tratta di burlarsi ed offendere i mussulmani, la Chiesa cattolica e le credenze religiose altrui, la si considera invece come forma di “antisemitismo” quando si riferisce alla critica alla lobby ebraica ed allo Stato di Israele.
Un caricaturista ha ben espresso questo concetto con un disegno sottostante

Tratto da Rebelion

Traduzione di Luciano Lago

N.B. Nella vignetta in alto si riprende l’episodio dell’assassinio di tre bambini palestinesi uccisi dalle forze israeliane mentre giocavano al pallone sulla spiaggia di Gaza

* Renan Vega Cantor

Storico. Docente, presso la Universidad Pedagógica Nacional de Bogotá, Colombia. Doctor de la Universidad de París VIII. Diplomado de la Universidad de París I, en Historia de América Latina. Autore dei libri Marx y el siglo XXI (2 volúmenes), Editorial Pensamiento Crítico, Bogotá, 1998-1999; El Caos Planetario, Ediciones Herramienta, 1999; Gente muy Rebelde (4 volúmenes), Editorial Pensamiento Crítico, Bogotá, 2002; Neoliberalismo: mito y realidad; Tra i suoi últimi lavori possiamo menzionare: Los economistas neoliberales, nuevos criminales de guerra: El genocidio económico y social del capitalismo contemporáneo (2010).

 

It's antisemitism

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