La CIA, Washington e Il Venezuela
di Gabriele Sannino
Quello che sta succedendo in questi giorni in Venezuela con scontri a fuoco e un capo dell’opposizione – Juan Guaidò – che si autoproclama Presidente ad interim giurando sulla Costituzione al grido di si, se puede! (la versione spagnola del Yes we can! del truffatore Obama) è la conseguenza di anni e anni di intromissione statunitense per depredare il paese delle sue ricchezze.
In buona sostanza, nonostante l’ultimo elemento di novità del giuramento, tutto il resto è re resta oba già vista: il nuovo “presidente” – guarda caso – è stato riconosciuto pochissimi minuti dopo dalla Casa Bianca.
Per capire ciò che sta succedendo, dunque, occorre guardare al recente passato.
Il Venezuela è un paese che è passato dalle stalle alle stelle grazie al petrolio. Il 14 dicembre del 1922, nei pressi di Maracaibo, si è verificata un’enorme eruzione di petrolio, che ha cambiato per sempre la storia e le sorti del paese.
Grazie all’oro nero, il paese ha conosciuto in passato alti standard di vita, diventando uno dei paesi più ricchi d’America con un’eccellente sanità, istruzione, alti tassi di occupazione e longevità.
Era “normale” che tutto questo attirasse attenzioni straniere: già negli anni ’70, infatti, le banche internazionali inondarono il paese di debiti con la scusa di opere faraoniche; poi, negli anni ’80, i prezzi del petrolio crollarono, e il paese non fu più in grado di onorare i prestiti. Nel 1989 il FMI impose misure d’austerità e fece pressione su Caracas affinché la corporatocrazia americana avesse ulteriori spazi.
Tutto questo cominciò a provocare forti disparità interne, con uno squilibrio tra ricchi e poveri, quindi, provocato da banche e multinazionali legate all’oro nero e al suo indotto.
Nel 1998 la musica cambiò con l’elezione da parte dei ceti popolari di Hugo Chávez: questi adottò misure drastiche contro la corruzione sia nella magistratura che nella politica, assumendo il controllo dei tribunali e sciogliendo il parlamento venezuelano. Più volte denunciò sui media l’imperialismo americano e la sua globalizzazione, introducendo una legge sugli idrocarburi che ferì gravemente gli introiti delle corporazioni.
La legge raddoppiò letteralmente le imposte dovute dalle multinazionali; in aggiunta, Chávez sfidò apertamente gli americani nazionalizzando la compagnia petrolifera principale – Petroleos del Venezuela – e sostituendo i vertici con suoi uomini di fiducia.
E’ bene ricordare che il petrolio venezuelano, ancora oggi, è fondamentale per tutto il mondo: nel 2002, il paese era il quarto esportatore mondiale, e il terzo per fornitura agli oleosi Stati Uniti. Petroleos de Venezuela, con i suoi quarantamila dipendenti e i suoi introiti annui per 50 miliardi di dollari, ha rimpinguato di moltissimo le casse statali, cosa mai avvenuta nella storia del paese.
Nonostante questo, purtroppo, dal 1978 al 2003 il reddito dei venezuelani è sceso del 40%: la crisi indotta ha fatto vittime soprattutto tra i ceti più poveri, cosa che ha provocato scontri e incidenti.
L’obiettivo degli Stati Uniti nei primi anni 2000 – manco a dirlo – era eliminare proprio l’odioso Chávez, giudicato “nazionalista” e “populista” dall’élite, solo che l’11 settembre le priorità dell’allora Presidente Bush cambiarono, dato che adesso bisognava affrontare la nuova “guerra al terrore”.
Nel 2002 il paese era sull’orlo del caos: debiti, sanzioni e povertà indotta continuarono a produrre i loro effetti, tant’è vero che ci furono numerosi scioperi (perfino dei lavoratori petroliferi che lavoravano per le multinazionali) mentre il popolo iniziò a dividersi, fomentato da media e da giornalisti spesso al soldo delle potenze straniere.
I sostenitori di Chávez continuarono a scontrarsi con i suoi oppositori: ci furono omicidi eccellenti di politici e militari in entrambi gli schieramenti.
Chávez fu deposto nel 2002 con un colpo di stato ordito dalla CIA, ma con un’enorme sorpresa, grazie ai suoi appoggi, tornò in scena più forte che mai, riprendendosi il potere dopo appena settantadue ore. Una volta calmate le acque, chiese l’arresto sia per i suoi oppositori sia per alcuni generali che gli erano stati sleali.

Nel 2013, morì a causa di una grave forma di tumore che lo aveva colpito due anni prima, lasciando le redini del paese al suo delfino, Nicolàs Maduro, che ha portato avanti le sue politiche fino ai giorni nostri.
Maduro oggi sta combattendo la stessa battaglia di Chávez, avendo a che fare con tradimenti politici e militari, nonché con scontri fomentati dal paese dalle forze di opposizione che rispondono a quegli stessi poteri che hanno creato le attuali condizioni di povertà, grazie a sanzioni che non permettono l’ingresso neanche dei generi alimentari più elementari, compresi farmaci e beni di prima necessità.
Il giuramento del burattino di Washington, dunque, non è affatto una buona notizia per i venezuelani: purtroppo il popolo fatica a capire il dietro le quinte del potere, e reagisce solo istintivamente.
Personalmente, mi auguro che la sovranità di questo paese venga nuovamente ripristinata come in passato, visto che la finanza e le multinazionali sono solo fonte di sciagure, povertà di massa e ricchezza per pochi, anzi pochissimi.
Fonte: confessioni di un sicario dell’economia di John Perkins.
ragazzi scendete in piazza a Napoli e Palermo, fate un pò di casino, poi arrivo io alzo la mano e mi dichiaro Presidente delle Due Sicilie. Mosca mi ha già riconosciuto
pare una puttanata, ma è così che la pensano in usa, LA PIU’ GRANDE DEMOCRAZIA DEL MONDO … … … !