Il barbaro assassinio di Giulio Regeni, il dottorando all’università di Cambridge rapito e torturato al Cairo, tiene banco sui media ed è impiegato per dipingere a tinte fosche il governo dell’ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi, accusato di guidare un brutale apparato poliziesco. In realtà,
il caso Regeni presenta tutte le caratteristiche della classica operazione clandestina: la tempistica del rapimento e del ritrovamento del cadavere, lo scempio del corpo secondo il copione di un brutale interrogatorio e la campagna mediatica di contorno, nazionale ed internazionale, rispecchiano un’attenta pianificazione, tesa a screditare il governo egiziano e minare la collaborazione tra Roma ed il Cairo, dal dossier libico a quello energetico. Più che alla travagliata politica interna egiziana, l’omicidio Regeni va infatti ricollegato allo sfruttamento dell’enorme giacimento gasifero scoperto dall’ENI: un successo italiano che molti, da Tel Aviv a Washington, passando per Londra, non digeriscono.
Egitto, ultimo baluardo contro la destabilizzazione del Medio Oriente di Federico Dezzani
Non c’è pace per l’Egitto che, dall’attentato al consolato italiano lo scorso luglio al disastro aereo del volo Metrojet di fine ottobre, finisce sempre più spesso nei nostri radar: il fenomeno non stupisce perché, come abbiamo più volte affermato, il Cairo è (insieme ad Algeri) l’ultimo baluardo contro la destabilizzazione angloamericana ed israeliana della regione.