I paesi che generano la maggior parte dei profughi sono tutti luoghi dove gli Stati Uniti sono intervenuti. In un articolo su The American Conservative,
Philip Giraldi ricorda il momento, nel 2008, in cui ha visto sulle pagine del Washington Post la foto di Ali Hussein, un bambino iracheno di due anni, estratto, morto, dalle macerie di una casa che era stata distrutta dai missili americani. E di come la stessa sensazione si sia riproposta alla vista della foto del bambino siriano, Aylan Kurdi che giaceva, morto, su una spiaggia turca.
Il bambino è una delle centinaia di migliaia di profughi che cercano di raggiungere l'Europa. Il mondo dei media sta seguendo la crisi puntando principalmente sull'incapacità dei governi locali, impreparati ad affrontare il numero dei migranti, chiedendo perché qualcuno, da qualche parte, non "fa qualcosa". Questo significa che in qualche modo, come risultato, la tragedia umana è stata ridotta ad una statistica e, inevitabilmente, ad una partita politica.