Caro Prodi, il suicidio è stato entrare nell’Euro

di Thomas Fazi –

L’ineffabile Romano Prodi ha dichiarato a “Di Martedì” che il «il ritorno alla lira» sarebbe «assolutamente un suicidio». Ora, che Prodi senta il bisogno di fare la difesa d’ufficio dell’euro è comprensibile: d’altronde fu proprio il suo governo, nel 1996, ad avviare le procedure per l’ingresso dell’Italia nell’euro. Ma proprio per questo dovrebbe avere la decenza di non parlare.
Cosa accadrebbe in caso di uscita dall’euro, infatti, non lo sappiamo: molto dipenderebbe da come verrebbe gestita la cosa, e alcuni degli economisti più brillanti del pianeta ci hanno indicato la strada su come gestire e minimizzare l’impatto di una transizione dall’euro a una nuova valuta nazionale. Quello che invece sappiamo per certo sono gli effetti che ha avuto l’ingresso dell’Italia nell’euro.
Fino alla fine degli anni Ottanta, l’Italia è stato il paese d’Europa con la più elevata crescita media. Poi, tra l’inizio e la metà degli anni Novanta, quel trend non ha solo subìto una brusca frenata, ma ha addirittura conosciuto una drammatica inversione di tendenza che dura fino ai giorni nostri, relativamente in particolare alla produzione industriale, alla produttività e al PIL pro capite: tutte variabili che fino a quel momento avevano registrato un tasso di crescita superiore o pari a quello della Germania e degli altri partner europei. Il fatto che la dinamica del PIL italiano non denoti una marcata tendenza al declino, almeno rispetto alla Germania e alla media europea, prima dell’introduzione dell’euro, dovrebbe essere sufficiente a smentire la teoria secondo cui la crisi sarebbe imputabile a problemi strutturali che poco o nulla hanno a che vedere con l’integrazione economica e valutaria europea.
Il dato relativo all’andamento della produttività è particolarmente interessante, sia perché la bassa produttività dell’Italia è spesso additata come l’origine di tutti i mali del nostro paese, sia perché essa rappresenta la cartina di tornasole di tutta una serie di altre criticità. Per tutti gli anni Settanta e Ottanta la produttività italiana del lavoro ha viaggiato allo stesso ritmo di quella tedesca; all’inizio degli anni Novanta, poi, l’indice della produttività comincia a rallentare per poi arrestarsi bruscamente nel 1997. Da allora è sempre cresciuta a tassi molto inferiori alla media delle economie avanzate, mentre quella tedesca, pur continuando a rallentare, è rimasta vicina alla media. Cosa è successo tra l’inizio e la metà degli anni Novanta? Sono emerse improvvise “debolezze strutturali” nella nostra economia? Siamo diventati d’un colpo tutti corrotti e scansafatiche? O in quegli anni sono state prese delle precise decisioni politiche che potrebbero spiegare la curiosa parabola dell’economia italiana?
Sarà una coincidenza – o quella che gli economisti chiamano una “correlazione spuria” – ma quelli sono gli anni in cui inizia il percorso di convergenza del nostro paese verso i criteri di Maastricht, che ha implicato non solo il fissaggio del tasso di cambio e una stretta fiscale estremamente violenta, ma anche un programma di (contro)riforme – tra cui la liberalizzazione di molti settori, lo smantellamento e privatizzazione di buona parte dell’apparato industriale pubblico, la deregolamentazione del mercato del lavoro ecc. – che ha investito praticamente ogni aspetto dell’economia italiana.
Una prima causa del crollo della produttività va dunque individuata nella rivalutazione della lira propedeutica all’ingresso dell’Italia nell’euro: nel 1995, dopo aver raggiunto la massima svalutazione rispetto al marco, la lira si rivaluta bruscamente, per poi continuare ad apprezzarsi nei mesi seguenti, fino a raggiungere l’anno successivo quello che sarebbe diventato il cambio irrevocabile fra la lira e il marco.
L’impatto sulle esportazioni non tardò a farsi sentire. La svalutazione della lira rispetto al marco iniziata nel 1992 aveva dato un forte impulso all’export italiano, tanto che nel 1993 la bilancia commerciale era tornata in attivo (dopo essere stata in territorio negativo per diversi anni), continuando a crescere a ritmi poderosi negli anni successivi. Poi, a partire dal 1997 – cioè da quando viene nuovamente fissato il tasso di cambio, provocando un’immediata rivalutazione della lira – la nostra bilancia commerciale comincia nuovamente a declinare, per entrare nuovamente in territorio negativo nel 2002, cioè nell’anno in cui l’euro entra ufficialmente in circolazione.
I numeri parlano chiaro: negli anni Novanta le esportazioni italiane erano molto sensibili (elastiche, nel gergo degli economisti) rispetto alle variazioni di prezzo, da cui l’impatto molto pesante sulla manifattura determinato dall’adozione del cambio fisso e poi della moneta unica.

Come scrive Antonella Stirati in merito al peggioramento della bilancia commerciale italiana verificatosi nel corso dell’ultimo ventennio, «la perdita di controllo sul tasso di cambio, insieme alla scarsa crescita del mercato interno tedesco, hanno pesato negativamente molto più che l’emergere di nuovi paesi nella scena economica internazionale» (come per esempio la Cina).
Un’altra causa del crollo della produttività può essere individuata nella progressiva deregolamentazione e flessibilizzazione (precarizzazione) del mercato del lavoro cui abbiamo assistito nell’ultimo ventennio, dal pacchetto Treu (1997) fino al “Jobs Act” e all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (2014). Il risultato di questo processo – anch’esso parte integrante del percorso di convergenza inaugurato con la firma del trattato di Maastricht, in linea con l’impostazione antilaburista dell’unione monetaria – è che per l’Italia l’indice di protezione del lavoro (EPL), calcolato dall’OCSE, è precipitato da 3,8 nei prima anni Novanta a poco più di 2 nel 2015 (ultimo anno per il quale disponiamo di dati).


Come ammette la stessa OCSE, siamo il paese che ha liberalizzato di più il mercato del lavoro relativamente alla posizione abbastanza rigida del passato. A sentire la Commissione europea e la BCE, che non perdono mai occasione di invocare le cosiddette “riforme strutturali”, in particolare la deregolamentazione del mercato del lavoro, ridurre i diritti dei lavoratori sarebbe una necessità impellente al fine di accrescere la produttività stagnante delle imprese. Eppure, se si giudicano i risultati della flessibilità, vediamo che essa non è stata accompagnata da un aumento della produttività ma, al contrario, da un drammatico crollo della suddetta.
Come se non bastasse, la produttività italiana ha risentito anche delle politiche di compressione della domanda e di restrizione fiscale adottate sempre con l’obiettivo dichiarato di ottemperare ai criteri di Maastricht. A partire dalla metà degli anni Novanta, infatti, la spesa pubblica corrente si è sistematicamente ridotta, con una contrazione di circa un punto percentuale solo tra il 1993 e il 1994. Da allora la spesa pubblica italiana in rapporto al PIL è sempre stata – e continua a essere – sistematicamente inferiore a quella degli altri paesi avanzati. Nello stesso periodo l’Italia è anche il paese, fra quelli OCSE, che ha registrato la maggiore crescita delle diseguaglianze e il maggior grado di immobilità sociale.

Il risultato è che da un ventennio l’Italia ha visto crescere la sua domanda interna a tassi sistematicamente più bassi della media dei paesi OCSE. Questo, nota Guglielmo Forges Davanzati, «sembra confermare l’ipotesi interpretativa in base alla quale la riduzione della spesa pubblica contribuisce a generare effetti di segno negativo sulla dinamica della produttività del lavoro».

Operai durante un presidio davanti alla direzione dell’Ilva a Taranto il 27 novembre 2012. ANSA


In definitiva, nella misura in cui tra l’inizio e la metà degli anni Novanta, tutti i maggiori indicatori economici – produttività, produzione industriale, crescita pro capite ecc. – hanno cominciato a manifestare un costante declino e risultano sostanzialmente stagnanti da allora, con tutte le conseguenze economiche e sociali che ne sono derivate, questo è largamente imputabile alla radicale riconfigurazione del nostro assetto economico-istituzionale conseguente all’adesione dell’Italia alla sovrastruttura economica europea e alle varie (contro)riforme regressive ad essa associate: fissaggio del tasso di cambio (con conseguente crollo delle esportazioni), deregolamentazione del mercato del lavoro, compressione dei salari, politiche fiscali restrittive e privatizzazione della grande industria pubblica.
È la stessa conclusione raggiunta dal noto economista olandese Servaas Storm nello studio più approfondito che sia mai stato realizzato sulle cause del lungo declino italiano: «Nello studio – scrive Storm – dimostro empiricamente come la recessione italiana debba considerarsi una conseguenza del nuovo regime economico post-Maastricht adottato dall’Italia a partire dai primi anni Novanta».


Per concludere: l’uscita dall’euro è un’incognita, ma non vi sono ragioni per credere che sarebbe necessariamente «un suicidio», come dice Prodi; anzi, vi sono ottime ragioni per credere che sarebbe la condizione essenziale per tornare a vivere. Al contrario, sappiamo per certo che l’ingresso dell’Italia nell’euro è stato – quello sì – un suicidio. Anche se forse sarebbe meglio parlare di tentato omicidio.


Fonte: Thomas Fazi

5 thoughts on “Caro Prodi, il suicidio è stato entrare nell’Euro

  1. Tutti i nostri mali hanno una comune origine: il “Mal del Britannia”. Una pestilenza diffusa in Italia il 2 Giugno 92 con l’attracco al Porto di Civitavecchia del Panfilo Britannia. Giusto per non dimenticare rimetto sotto un commento di qualche tempo fa. Fuori dalla NATO, dall’Europa e dall’Euro. Costi quel che costi. Peggio di così non potrà andare. Invece il trattamento che farei a Prodi ed ai suoi tanti compari portatori di sventura, per evidenti ragioni non lo posso scrivere qui.

    Teoclimeno
    10 Aprile 2020
    “Una data importante, e da tenere presente, per comprendere appieno gli accadimenti di questi ultimi giorni, è quella dell’attracco del panfilo Britannia della Regina Elisabetta a Civitavecchia: 2 Giugno 1992. In quella giornata furono prese decisioni destinate a cambiare la storia d’Italia. Gli ospiti erano l’alto comando dell’economia di Stato italiana: il presidente di Bankitalia Ciampi e l’onnipresente Beniamino Andreatta, i due artefici del “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro all’inizio degli anni 80. C’erano i vertici di Eni, Iri, Comit, Ina, le aziende di Stato e le Partecipazioni Statali al gran completo. A introdurre il consesso, era il direttore generale del Tesoro Mario Draghi. L’operazione di svendere l’Italia in realtà era già stata decisa. Anche e soprattutto perché quella gigantesca dismissione era la condicio sine qua non per entrare nell’Euro (1° gennaio 1999). lo Stato controllava treni, aerei e autostrade per intero, idem per acqua, elettricità e gas, l’ 80% del sistema bancario, l’intera telefonia, la Rai, porzioni consistenti della siderurgia e della chimica. Le Partecipazioni Statali erano immense: assicurazioni, meccanica ed elettromeccanica, settore alimentare, impiantistica, fibre, vetro, pubblicità, supermercati, alberghi, agenzie di viaggio. Impiegava il 16% della forza lavoro nel Paese. Solo gli stupidi possono pensare che la svendita del patrimonio pubblico italiano fu decisa per ridurre il debito pubblico, che ammontava allora a 795 miliardi di euro, o per rendere più efficienti e competitivi i settori in via di privatizzazione, e aumentare l’occupazione. Si partì nel luglio 1993 e proseguì per una ventina d’anni, passando per le banche, quote di Enel ed Eni, Alitalia. Il bilancio è sotto gli occhi di tutti: fallimentare, Il debito pubblico si è triplicato. Un milione circa di posti di lavoro persi. Le privatizzazioni sono state un fallimento, un disastro per gli Italiani. È stata una favola quella della competizione delle imprese per far abbassare i prezzi. In realtà i prezzi delle tariffe sono aumentati, facendo crescere i profitti delle aziende privatizzate, le quali hanno ritenuto più utile fare cartello aumentando i loro profitti. Tuttavia, i maggiori disastri sono stati la privatizzazione della Banca d’Italia e l’entrata nell’Euro, con la conseguente perdita della sovranità monetaria., e nascita della debitocrazia-usurocrazia”.

  2. L’imbroglione prodi “che ci ha portati nell’euro” sull’euro: “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più.”
    Invece, tanti lavoraro di meno guadagnando zero oppure lavorano un giorno in più guadagnando di meno, anzi, con il potere d’acquisto in picchiata …
    Il vecchio “terzo mondo2 è già qui, grazie all’euro e a all’infame prodi ….

    Cari saluti

    1. Tutti i nostri mali dipendono da una Sinistra egoista, paranoica, eversiva e senza Dio e senza valori. L’unica cosa in cui credono é il potere che gli hanno dato i poveri lavoratori e che continuano a darglielo.

    2. Si dimentica la presenza del sig. Grillo in veste di “intrattenitore”. Buone ferie… X ki le può fare amcora

  3. 7 giugno 2020

    Domenica della SS.ma Trinità

    Signor Presidente,

    stiamo assistendo in questi mesi al formarsi di due schieramenti che definirei biblici: i figli della luce e i figli delle tenebre. I figli della luce costituiscono la parte più cospicua dell’umanità, mentre i figli delle tenebre rappresentano una minoranza assoluta; eppure i primi sono oggetto di una sorta di discriminazione che li pone in una situazione di inferiorità morale rispetto ai loro avversari, che ricoprono spesso posti strategici nello Stato, nella politica, nell’economia e anche nei media. Per un fenomeno apparentemente inspiegabile, i buoni sono ostaggio dei malvagi e di quanti prestano loro aiuto per interesse o per pavidità.

    Questi due schieramenti, in quanto biblici, ripropongono la separazione netta tra la stirpe della Donna e quella del Serpente. Da una parte vi sono quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi e meritare, nell’obbedienza alla Legge di Dio, il Regno dei Cieli. Dall’altra si trovano coloro che servono se stessi, non hanno principi morali, vogliono demolire la famiglia e la Nazione, sfruttare i lavoratori per arricchirsi indebitamente, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro: per costoro l’illusione fallace di un benessere temporale rivelerà – se non si ravvedono – la tremenda sorte che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.Nella società, Signor Presidente, convivono queste due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio e Satana. E pare che i figli delle tenebre – che identifichiamo facilmente con quel deep state al quale Ella saggiamente si oppone e che ferocemente le muove guerra anche in questi giorni – abbiano voluto scoprire le proprie carte, per così dire, mostrando ormai i propri piani. Erano così certi di aver già tutto sotto controllo, da aver messo da parte quella circospezione che fino ad oggi aveva almeno in parte celato i loro veri intenti. Le indagini già in corso sveleranno le vere responsabilità di chi ha gestito l’emergenza Covid non solo in ambito sanitario, ma anche politico, economico e mediatico. Scopriremo probabilmente che anche in questa colossale operazione di ingegneria sociale vi sono persone che hanno deciso le sorti dell’umanità, arrogandosi il diritto di agire contro la volontà dei cittadini e dei loro rappresentanti nei governi delle Nazioni.
    Scopriremo anche che i moti di questi giorni sono stati provocati da quanti, vedendo sfumare inesorabilmente il virus e diminuire l’allarme sociale della pandemia, hanno dovuto necessariamente provocare disordini perché ad essi seguisse quella repressione che, pur legittima, sarà condannata come un’ingiustificata aggressione della popolazione. La stessa cosa sta avvenendo anche in Europa, in perfetta sincronia. È di tutta evidenza che il ricorso alle proteste di piazza è strumentale agli scopi di chi vorrebbe veder eletto, alle prossime presidenziali, una persona che incarni gli scopi del deep state e che di esso sia espressione fedele e convinta. Non stupirà apprendere, tra qualche mese, che dietro gli atti vandalici e le violenze si nascondono ancora una volta coloro che, nella dissoluzione dell’ordine sociale, sperano di costruire un mondo senza libertà: Solve et coagula, insegna l’adagio massonico.
    Anche se può apparire sconcertante, gli schieramenti cui ho accennato si trovano anche in ambito religioso. Vi sono Pastori fedeli che pascono il gregge di Cristo, ma anche mercenari infedeli che cercano di disperdere il gregge e dare le pecore in pasto a lupi rapaci. E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il Nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico. Una battaglia spirituale della quale ho parlato anche in un mio recente Appello lanciato lo scorso 8 maggio.
    Per la prima volta gli Stati Uniti hanno in Lei un Presidente che difende coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei Cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto. La Sua partecipazione alla Marcia per la Vita, e più recentemente la proclamazione del mese di aprile quale National Child Abuse Prevention Month sono gesti che confermano in quale schieramento Ella voglia combattere. E mi permetto di credere che entrambi ci troviamo compagni di battaglia, pur con armi differenti.

    Per questo motivo ritengo che l’attacco di cui Ella è stato oggetto dopo la visita al Santuario nazionale San Giovanni Paolo II faccia parte della narrazione mediatica orchestrata non per combattere il razzismo e per portare ordine sociale, ma per esasperare gli animi; non per dare giustizia, ma per legittimare la violenza e il crimine; non per servire la verità, ma per favorire una fazione politica. Ed è sconcertante che vi siano vescovi – come quelli che ho recentemente denunciato – che, con le loro parole, danno prova di essere schierati sul fronte opposto. Essi sono asserviti al deep state, al mondialismo, al pensiero unico, al Nuovo Ordine Mondiale che sempre più spesso invocano in nome di una fratellanza universale che non ha nulla di cristiano, ma che evoca altresì gli ideali massonici di chi vorrebbe dominare il mondo scacciando Dio dai tribunali, dalle scuole, dalle famiglie e forse anche dalle chiese.Il popolo americano è maturo e ha ormai compreso quanto i media mainstream non vogliano diffondere la verità, ma tacerla e distorcerla, diffondendo la menzogna utile agli scopi dei loro padroni. È però importante che i buoni – che sono in maggioranza – si sveglino dal torpore e non accettino di esser ingannati da una minoranza di disonesti con fini inconfessabili. È necessario che i buoni, i figli della luce, si riuniscano e levino la voce. Quale modo più efficace di farlo, pregando il Signore di proteggere Lei, Signor Presidente, gli Stati Uniti e l’umanità intera da questo immane attacco del Nemico? Dinanzi alla forza della preghiera cadranno gli inganni dei figli delle tenebre, saranno svelate le loro trame, si mostrerà il loro tradimento, finirà nel nulla quel potere che spaventa fintanto che non lo si porta alla luce e si dimostra per quello che è: un inganno infernale.

    Signor Presidente, la mia preghiera è costantemente rivolta all’amata Nazione americana presso la quale ho avuto il privilegio e l’onore di essere stato inviato da Papa Benedetto XVI come Nunzio apostolico. In quest’ora drammatica e decisiva per l’intera umanità, Ella è nella mia preghiera, e con Lei anche quanti La affiancano nel governo degli Stati Uniti. Confido che il popolo americano si unisca a me e a Lei nella preghiera a Dio onnipotente.Uniti contro il Nemico invisibile dell’intera umanità, benedico Lei e la First Lady, l’amata Nazione americana e tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

    + Carlo Maria Viganò

    Arcivescovo Titolare di Ulpiana

    già Nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America

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